90-60-90: le misure per essere assunti

Lo so, questo post vi farà ridere. Molto. Rido ancora adesso che sono passati 16 anni.
Ma vi farò anche riflettere per quello che vi racconterò.
Anno 2001, Inghilterra.
Mi trovavo lì come ragazza alla pari in una tipica famiglia inglese. A ben pensarci non molto tipica: padre, figlia di 8 anni e matrigna incinta, sotto lo stesso tetto. Il giorno del parto lui era già in giardino con l’amante che, stranezza del caso, aveva lo stesso nome del coniglio di casa.
Ma non dilunghiamoci perché non è di questo che voglio parlarvi.
Un giorno arriva una telefonata dall’Italia. Un mio ex compagno di Università mi chiama per dirmi che un imprenditore del suo paese sta cercando qualcuno da mandare in Irlanda a dirigere un cantiere edile. Destinazione Dublino, casa, macchina e stipendio.

volo aereo

Come si fa a rifiutare una proposta del genere?
Sì, non che dirigere un cantiere edile sia proprio il mio lavoro, io che ho in tasca una laurea umanistica.
Ma si può sempre imparare no? E che sarà mai….
Mi dice che mi metterà in contatto con questo imprenditore per definire meglio l’oggetto dell’incarico e per capire se posso essere la persona che sta cercando.
Ma certo che sono la persona che sta cercando (se non altro perché l’Irlanda è il mio paese del cuore da sempre, ma questo non credo sia un motivo sufficiente).

Ok, il mio primo vero colloquio di lavoro.
Mi chiedo come potrà funzionare visto che verrà fatto al telefono, dal momento che io sono in Inghilterra, lui in Italia.
Potrei mandargli il mio curriculum, dovrei averne uno pronto da qualche parte, forse va un po’ sistemato, d’altronde il mio inglese ora è un po’ più fluente, visto che ho comunque fatto un paio di mesi all’estero.

“Ti chiama domani pomeriggio. In bocca al lupo.”
Passano le ore e io non sto più nella pelle.
Cosa potrebbe chiedermi? Che studi ho fatto ovviamente, se ho avuto una formazione scientifica, se me ne intendo di piattaforme aeree, di sicurezza sul cantiere, di progettazione, di calcoli statici…
Va bene io non so nemmeno come ci si entra in un cantiere edile, figurarsi a dirigere qualcuno là dentro, in inglese poi. Ma voglio quel posto con tutta me stessa, qualcosa mi inventerò.

Drinn drinn, suona. E’ lui.
Sì buongiorno, mi ha dato il suo numero… mi ha detto che sarebbe disponibile… Dublino… cantiere edile, venti ditte… noi l’unica ditta italiana con venti operai polacchi….montiamo vetrate sugli edifici di un grande parco commerciale…Oltre allo stipendio anche un appartamento a Dublino e una macchina. La macchina è italiana quindi la guida non sarà semplice visto che il volante è a sinistra…

Ahm ehmm ohmm.
E va bene, lo confesso, io non so neanche da che parte si comincia… Ehmm, la ringrazio per la chiamata, in effetti sono diversi mesi che mi trovo all’estero… inglese molto fluente… imparo molto in fretta…

“in effetti cerco qualcuno che sappia bene l’inglese e la persona che ci ha messo in contatto mi ha parlato molto bene di lei… ecco… però… le devo chiedere una cosa….”

Ecco lo sapevo adesso mi chiede qualche dettaglio tecnico sulla gestione del cantiere…

“vorrei sapere quanto è alta e quanto pesa.
Sa, sono misure di sicurezza aeroportuale che devo conoscere per verificare se può volare fino a Dublino…”

giraffa
E così, rispondendo correttamente a quest’unica domanda (a dire il vero barando un po’ sui kg e sui cm) mi sono guadagnata il mio primo posto di lavoro.
A Dublino. Da sola, in un appartamento tutto per me.

Ho diretto una squadra di 20 operai polacchi che non parlavano una ciuffola né di inglese nè di italiano. Ho partecipato a riunioni sulla sicurezza in cantiere. In inglese.
Mi sono trovata mille volte in situazioni che definirei fantozziane. Per dirne una il primo giorno di lavoro ho indossato la camicia del mio datore di lavoro visto che mi avevano perso i bagagli in aeroporto e non avevo niente da mettermi.
Ho preso la patente per azionare una piattaforma aerea andando su fino a 20 metri in altezza. Sono entrata in studi di architettura faraonici in centro a Dublino con le mie scarpe sporche di fango (a mia discolpa devo aggiungere che quella volta mi hanno prelevato direttamente dal cantiere).
Ho imparato ad aprire e poi ripiegare progetti stampati su lenzuola di carta, senza stropicciarli, girandoli dal lato giusto prima di parlare.
Sempre col mio elmetto, le mie scarpe antinfortunistiche e la mia casacca giallo fosforescente.

Ma ho anche girato l’Irlanda con la mia Ford italiana, azzardando qualche sorpasso e imboccando qualche rotonda contromano.
Ho passato 8 mesi meravigliosi in Irlanda.

In fin dei conti me la sono giocata barando sui cm del mio girovita …
Lo devo mettere nel curriculum.

 

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